Chiropratica

Dopo anni di vuoto legislativo, sono attese tra pochi mesi le norme per la protezione del titolo per questa professione sanitaria di grado primario
Una disciplina olistica, che si occupa di prendere in carico il paziente nella sua globalità, anche se i sintomi che lamenta riguardano solo la schiena o una spalla. Che interviene sui fattori di stress che ne compromettono la salute, facendo affidamento sulle intrinseche capacità di recupero dell’organismo. E che favorisce il processo di guarigione con la manipolazione. Questa potrebbe essere, in estrema sintesi, la definizione della chiropratica, una disciplina sanitaria di primo livello, riconosciuta in circa 90 paesi del mondo e regolamentata in circa 50 paesi. In Italia, la chiropratica è di fronte a una svolta, perché si sta concretizzando una regolamentazione della professione attesa da molti anni.
Ma chi è il chiropratico? Come opera? E su quali pazienti?
“Il chiropratico è un professionista della salute che in Europa si forma con cinque anni di studi e negli Stati Uniti addirittura otto: le conoscenze di base sono pressoché uguali a quelle di un corso di medicina, ma poi si applicano in modo diverso, secondo il nostro specifico modo di agire”, ha spiegato John Williams, presidente dell'Associazione italiana chiropratici. “Noi lavoriamo con la capacità intrinseca del corpo di raggiungere e mantenere uno stato di salute, adattandosi al meglio all’ambiente circostante: determinati fattori interni ed esterni possono influire su questa capacità dell’organismo, ed è perciò importante che tutti i sistemi corporei interagiscano tra loro al meglio”.
Nella chiropratica è dunque fondamentale considerare non il sintomo isolato, ma l’organismo nel suo complesso, e identificare i vari stress di vita che possono compromettere lo stato di salute.
“Per questo motivo, la prima cosa che il chiropratico fa di fronte a un nuovo paziente è un'anamnesi molto dettagliata, annotando i problemi fisici lamentati in passato, i traumi e gli eventuali interventi chirurgici, e cercando di capire quando è iniziato il problema specifico che ha spinto il soggetto a farsi visitare”, ha continuato Williams. “Occorre poi analizzare l’attività fisica che il paziente fa abitualmente, la sua postura (considerata come un'espressione della funzione globale del soggetto e non come qualcosa di statico, definito una volta per tutte), la sua deambulazione e altri movimenti, senza trascurare qualche semplice esame ortopedico e neurologico; in sintesi, si raccolgono tutte le informazioni su tutti i possibili fattori fisici e psicologici che possono aver determinato il suo attuale stato di salute, pensando sempre all’organismo come a un tutt’uno: se per esempio ho di fronte un soggetto che soffre di cervicale, è possibile che abbia problemi anche in altre parti della colonna vertebrale”.
Una volta posta la diagnosi, inizia un percorso terapeutico, che prevede sia la manipolazione da parte del chiropratico sia un programma di modificazione degli stili di vita scorretti.
“Nell’ambito della chiropratica, l’intervento terapeutico ha importanti differenze rispetto alla medicina convenzionale: noi abbiamo un approccio conservativo, cioè non facciamo uso né di farmaci né di trattamenti invasivi come gli interventi chirurgici; inoltre, per noi la manipolazione nella fase acuta non solo è possibile, ma è la situazione in cui si ottengono i risultati più evidenti, mentre un ortopedico la sconsiglierebbe”, ha chiarito il dott. Williams. “Voglio sottolineare il fatto che in ogni caso noi operiamo entro limiti abbastanza precisi, in situazioni che non presentano un rischio per la vita e per l'incolumità del paziente, e chiaramente riconosciamo che in alcuni casi è appropriato ricorrere ai farmaci e agli interventi chirurgici”.
Il successo finale della terapia, chiaramente, dipende anche molto dalla motivazione del paziente ad andare in profondità al problema, impegnandosi attivamente, in collaborazione con il proprio chiropratico, in un percorso che può essere anche lungo.
“Anche se questo si potrebbe dire di qualunque intervento terapeutico, non solo del nostro”, fa notare il dott. Williams.
Ma chi in genere si rivolge al chiropratico? E per quali patologie?
“Solitamente si tratta di problemi osteoarticolari, anche di natura traumatica, con una sintomatologia che non si è risolta con altri metodi e altri trattamento medici”, spiega il dott. Williams. “Questa tendenza rappresenta una criticità per il nostro lavoro, perché spesso il paziente considera la chiropratica un po’ come l’ultima spiaggia, mentre sicuramente si avrebbe un maggior e giovamento intervenendo in una fase più precoce”.
La chiropratica ha dunque una propria identità ben definita e un proprio seguito di pazienti. Purtroppo però nel nostro Paese, pur essendo stata riconosciuta nel 2007 come professione sanitaria di grado primario, non ha ancora una regolamentazione.
“Entro sei mesi dal riconoscimento sarebbe dovuto uscire un decreto con l’indicazione delle competenze dei chiropratici, ma a distanza di 10 anni il decreto non si è ancora visto”, ha concluso il dottor Williams. “Questo vuoto legislativo ha lasciato gioco facile a molti soggetti che, senza avere una preparazione adeguata, con corsi di pochi mesi, si sono inventati chiropratici dalla sera alla mattina; ora questi abusivi sono molti di più dei chiropratici autentici, e stanno cercando un riconoscimento con una clausola transitoria: noi chiaramente siamo contrari a questo tipo di operazione”.
Il governo uscente si è impegnato con l’Associazione italiana dei chiropratici per arrivare entro pochi mesi all’approvazione di norme per la protezione del titolo, per i chiropratici così come per altre professioni sanitarie. A quel punto chi non avrà i titoli potrà essere denunciato per abuso della professione.
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