La sicurezza delle cure ha sempre trovato la sua massima espressione nel termine 'gestione del rischio clinico' ma gli addetti ai lavori sanno benissimo che, con sicurezza delle cure, si deve intendere anche qualità delle cure erogate e sicurezza del paziente. Qualità e rischio clinico sono le due facce della stessa medaglia che ha come raccordo il termine Governo Clinico: non sono i protocolli a fare la differenza, bensì la cultura della sicurezza radicata e diffusa”. Con queste parole di Francesco Venneri (Clinical Risk Manager presso Azienda USL Toscana Centrale) si è aperto l'evento Rischio Clinico, Nuove sfide per la cultura della sicurezza.
Il workshop, proposto per i cinque anni della Legge Gelli-Bianco (“Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché' in materia di responsabilità professionale”, Legge 24, 8 marzo 2017) ha visto la partecipazione dei massimi esperti di settore con il saluto introduttivo dello stesso senatore Amedeo Bianco, firmatario della Legge 24/2017 che ha dichiarato: “Oggi si rivela importante porre attenzione non solo ai sistemi di gestione e prevenzione del rischio, ma anche alla sicurezza e tenuta dello stesso SSN, che è il primo elemento delicato dell'intero impianto della qualità delle cure: una tenuta che sembra essere messa in discussione dai fenomeni di burnout e di abbandono professionale sempre più ricorrenti”.
Dopo il saluto di Silvio Brusaferro, presidente dell'ISS e tra i massimi esperti di settore, che ha sottolineato come la sicurezza sia un elemento imprescindibile della qualità delle cure, Roberto Tartaglia (Professore Straordinario presso il Dipartimento Scienze Ingegneristiche dell’Università degli Studi “Guglielmo Marconi” di Roma) autore dei più importanti studi italiani sul risk management in sanità, ha proposto una panoramica storica dell'identificazione del rischio come argomento di pertinenza delle organizzazioni sanitarie, da To Err is Human (1999) alla nascita dell'Osservatorio italiano delle Buone Pratiche per monitorare la loro corretta applicazione. Entrando in merito al periodo pandemico, Tartaglia ha presentato i dati della survey internazionale promossa dall’Italian Network for Safety in Healthcare (INSH) in collaborazione con International Society for Quality in Health Care, Macquarie University e Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. La survey – che ha riportato l’opinione di un campione di oltre 1000 esperti di qualità e sicurezza appartenenti a 96 paesi, nelle sei regioni WHO (America, Africa, Europa, Medio-Oriente, Sud-est asiatico, Pacifico occidentale) – mostra, come detto da Tartaglia “il basso livello di preparazione degli operatori sanitari: solo il 30% dei rispondenti ha dichiarato che era stata svolta nei loro paesi una formazione mediante simulazione sulla gestione di una pandemia negli ultimi tre anni e solo il 50% riferisce di non aver avuto problemi di disponibilità di dispositivi di protezione personale”.
All'evento Ottavio Nicastro (Coordinatore della Sub Area Rischio Clinico della Commissione Salute) ha focalizzato l’attenzione sul contributo fornito da Regioni e Province autonome nel percorso italiano per l’affermazione della sicurezza delle cure come elemento imprescindibile della qualità assistenziale.
“Nel corso di un ventennio”, ha dichiarato Nicastro, “il coordinamento interregionale ha favorito lo sviluppo della cultura della sicurezza nei diversi contesti locali, promuovendo il confronto e lo scambio di esperienze e competenze e approfondendo tematiche e questioni emergenti. Un rilevante sforzo è stato prodotto con l’elaborazione di documenti di indirizzo e inquadramento tecnico, correlati in particolare agli aspetti applicativi della legge 24/2017. L’attività del coordinamento si è svolta anche durante la pandemia Covid-19, attraverso indicazioni per un contributo della rete della sicurezza delle cure nello sforzo comune per la gestione dell’emergenza”. Nicastro ha concluso ricordando che l’epidemia “ha comunque posto al centro dell’attenzione la risposta clinico organizzativa delle aziende sanitarie e le azioni svolte dai vari soggetti interessati, mettendo in luce anche la necessità di far evolvere i modelli di governo della sicurezza; in questo contesto, è stato effettuato un lavoro finalizzato a far chiarezza sull’attuale ruolo e ambito di competenza della funzione di gestione del rischio sanitario e a fornire una base di partenza per riflessioni e sviluppi futuri”.
L'appuntamento (realizzato in occasione della pubblicazione del numero di Regional Health Plus, RH+, dedicato al Rischio clinico) aveva anche l’obiettivo di sintetizzare le azioni regionali d'eccellenza nell'ambito della sicurezza delle cure, facendo emergere (e mettendo a confronto) alcune best practice territoriali per rispondere alla sfida di ridurre al massimo le differenze che esistono tra Regioni e all’interno delle Regioni stesse nell’affrontare questo fenomeno e in conclusione quella di ridurre l’accadimento di eventi avversi.
Mentre Anna Santa Guzzo (Clinical Risk Manager AOU Policlinico Umberto I Sapienza Università di Roma) e Valeria Tromba (Dirigente Medico di Pediatria AOU Policlinico Umberto I - Sapienza Università di Roma) hanno descritto l'approccio sviluppato in Regione Lazio sul Risk Management nell’ambito dell’Emergenza Urgenza, Cosimo Chelazzi (Medico in Anestesia Oncologica e Terapia Intensiva presso Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi) e Stefano Romagnoli (Direttore SODc Anestesia Oncologica e Terapie Intensiva presso Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi) hanno illustrato le attività nei confronti della Sepsi in Toscana successive al Documento di Indirizzo “Lotta alla Sepsi - Call to Action”, realizzato nel 2019 Gruppo Tecnico Programma Regionale di Lotta alla Sepsi.
Dopo l'intervento di Riccardo Tartaglia che ha ricordato le sfide attuali per migliorare la sicurezza dei pazienti (sfide che riguardano nuova cultura e rinnovate azioni per il sistema sanitario, per i setting assistenziali e per una corretta gestione del personale), Francesco Venneri ha concluso ricordando che “la gestione del rischio deve sempre di più promuovere iniziative di analisi e valutazione proattiva lavorando all’elaborazione di piani di anticipazione e controllo dei rischi in sanità connessi con rischi ambientali, biologici, finanziari e sociali; tale approccio potrebbe essere suggerito per lavorare sull’elaborazione di un piano pandemico nuovo. Il Clinical Risk Manager del futuro deve fare i conti con questi elementi e uscire dalla logica di gestione solo dei processi ed interagire con la gestione dei percorsi e rappresentare un valido supporto alle strutture, ai professionisti ed ai pazienti per assicurare standard di cura di qualità e la riduzione degli eventi avversi”.